“Quanto all’avventura, non so se devo dirle addio, nella misura in cui mi sembra di non averla mai cercata. È lei che è venuta da me mentre stavo cercando determinate persone, o determinati luoghi che, per me, erano importanti.” Hugo Pratt
di Carlo Heep
Firmato da Juan Díaz Canales e Rubén Pellejero, esce il nuovo Corto Maltese, a venti anni dalla morte di Hugo Pratt, creatore della saga del marinaio avventuriero.
Siamo nel 1915, a metà strada nella cronologia delle originarie avventure di Corto. Una lettera gli viene recapitata: è di Jack London, suo vecchio amico, che in cambio di un messaggio da far avere ad un vecchio amore dei tempi della corsa all’oro nello Yukon (Canada), promette a Corto la traccia per ritrovare un tesoro. Ed ecco che l’avventura ha inizio, proprio in quel grande nord americano protagonista dei migliori cicli di racconti di London, tra tensioni rivoluzionarie ed interessi economici, con Corto che si fa attore/spettatore di un mondo in folle corsa verso un futuro incerto…
Chi si ricorda di Corto Maltese? Era quel marinaio un po’ romantico e un po’ anarchico, con l’orecchino, cacciatore di tesori, con una idiosincrasia per i confini e le autorità costituite. E aveva un amico poco raccomandabile di nome Rasputin, in pratica un assassino.
Meglio, ora? Bene… Che dire allora di questa nuova storia?
Quando muore il padre di un mito letterario, la sua opera viene consegnata agli dei; e guai a chi la tocca. Le schiere degli ammiratori amerebbero certo conoscere le ulteriori gesta del loro eroe (o antieroe). Ma per i paradossi di una malintesa sacralità letteraria e del diritto d’autore, il personaggio viene sottratto all’ humus vivo dei creativi, e consegnato al freddo e sterile esame autoptico dei critici. I quali o distruggono, o a-criticamente incensano, in ogni caso senza rischiare niente in proprio, come si sa.

Apparentemente rischiano molto invece Juan Díaz Canales e Rubén Pellejero, autori del nuovo attesissimo Corto Maltese. Perché avere per le mani un mito come Corto è come ricevere una banconota da un milione di euro con la richiesta di spenderla bene: il rischio di comprare cazzate è dietro l’angolo. Come se la cavano i nostri? Sicuramente dimostrano di aver fatto bene i compiti a casa. Immaginiamo ci si aspettasse da loro il rispetto di tutti gli stilemi di Pratt, onde non deludere il pubblico pagante. E in questo portano il punto a casa: c’è il segno grafico minimale ed evocativo, ci sono i dialoghi pieni di ellittico wit&wisdom e c’è l’impaginazione in quattro strisce dell’originale. E la storia è ben congegnata, in uno di quegli intrecci a molte voci cari a Pratt.
L’opera insomma, per quello che verosimilmente è stato concesso agli autori dal committente, è ben riuscita.
Ma personalmente abbiamo letto e ammirato le tavole con un atteggiamento da check-list: ad ogni atteso stilema prattiano rinvenuto nel testo, ci sentivamo rassicurati, certo. Ma a lista completata, in effetti, anche delusi per non aver trovato altro da quanto atteso. Manca insomma il brivido della scoperta. Se narrativamente comprendiamo la pedissequa accettazione della lectio prattiana, avremmo forse gradito qualche pur moderata invenzione grafica, capace di portare il personaggio anche ad un pubblico giovanissimo, ormai abituato ad un impianto iconico agli antipodi. Si ha la sensazione, leggendo l’opera dei due autori spagnoli, di entrare in una cripta, perché ci sia impartita una eucarestia un po’ stantia.
Il timore reverenziale/sacrale con cui è accostato Pratt sa di vecchio e ‘incellofanato’, se ci concedete il termine. Guardate la gioiosa proliferazione di opere che in un secolo hanno fatto incontrare a Sherlock Holmes nientemeno che Freud, Dracula e gli ultimi Romanov. È oltraggioso scandalo? Pensiamo di no: lasciamo decidere al pubblico. Come il pubblico ha decretato il successo dell’originale, così il pubblico decida se un falso sia degno di entrare nel canone. Meditate, italici editori del nulla: vi additiamo geni del calibro di Dan Simmons, che ha portato Dickens, Shakespeare e Omero nel terzo millennio (e oltre); o R. N. Morris, che ha tirato fuori dalle catacombe il Porfiry Petrovitch di Dostoevsky per un delizioso nuovo ciclo di avventure investigative.
Mettiamo sui piedistalli le opere, non le mummie degli autori. Amen.
Juan Díaz Canales, Rubén Pellejero, Corto Maltese. Sotto il sole di mezzanotte, Rizzoli Lizard, 2015
Carlo Heep, lingua velenosa, si occupa di rimestare nell’ovvio per proporre prospettive di recupero.
non vedo l’ora di leggerlo
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I primi strumenti di uno dei liutai più celebri al mondo, Nicola Amati, erano molto simili per non dire uguali a quelli di Gasparo da Salò, le cui viole sono spesso preferite a quelle di Stradivari per qualità e potenza sonora. Questo non gli impedì di divenire maestro di Andrea Guarnieri e Antonio Stradivari.
Le contaminazioni tra artisti, soprattutto se di talento, hanno modalità e regole che sono diverse da quelle dei comuni mortali… L’album Sotto il sole di mezzanotte è sicuramente un tributo ad Hugo Pratt, attendiamo il prossimo per comprendere che sentiero si sta delineando.
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Ciao Paola, ti ringrazio per il commento 🙂 lascio la parola a Carlo:
“Ciao Paola, grazie per il contributo. Speriamo solo che per la prossima storia non occorrano altri vent’anni…“
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E’ una speranza più che ragionevole e ben riposta…. 🙂
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Sì! Noi lo speriamo proprio! 🙂
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